Oggi sono stata in una agenzia di stampa. Servita, prima di me, c’era un’altra persona e stavo aspettando il mio turno un po’ distaccata per non invadere la sua privacy.

Entra un ragazzo. Si mette tra me e il cliente prima di me. Percepisco che ha intenzione di scavalcarmi. Gli lascio il beneficio del dubbio, ma mi preparo.

Ebbene sì, ha tentato!

Io, pronta, gli ho fatto una domanda: mi sembra che lei sia entrato dopo di me, corretto? Mi risponde, allungando nel frattempo il suo documento al nostro interlocutore: sì, ma ho una cosa veloce da fare e ho fretta.

Vi è mai capitato? Purtroppo succede frequentemente, quando si è in fila alla cassa del supermercato perché ho due cosette in mano e tu hai il carrello pieno, succede al banco dei salumi, in fila alla posta… ed è successo anche a me qui.

Quando accade infastidisce parecchio. Non tanto perché non sia possibile concedere, quanto per i presupposti che autogiustificano una prepotenza.

Potevo lasciarlo passare se me lo avesse chiesto? Sì, avrei potuto. Se poi lo avesse fatto con considerazione e gentilezza, non avrei avuto dubbi.

Invece ho esercitato il mio diritto di precedenza, mi sono seduta e ho fatto quello che dovevo fare.

Che tipo di interazione abbiamo avuto?

Con il suo comportamento lui ha dato per scontate cose che riguardavano me. Che io non avessi fretta, che avrei capito, che non avrei posto resistenza. Ha ignorato la mia precedenza e le mie esigenze. Si è mosso unicamente sulla base delle sue.

Non mi ha chiesto. Ha agito con arroganza prima e con potere poi.

Io ho esercitato il mio diritto di precedenza e l’ho riportato alla sua posizione d’ordine.

Quante volte gestiamo situazioni di questo tipo senza subire?

L’atteggiamento di superiorità si nutre di piccoli successi

Non è stato facile per me sedermi e non sentire alle spalle il suo sguardo giudicante. Non è stato facile spegnere il mio dialogo interiore che mi diceva: ma dai, potevi farlo passare! Ti sei comportata proprio come una str*. Non è stato facile portare a termine quello che stavo facendo senza fretta e con la tranquillità necessaria.

Un comportamento di potere, infatti, è un modo di fare che mette alla prova. Anche persone solide e centrate.

Questo tipo di potere nasce dal bisogno di vincere ed è una forma di narcisismo, anche inconsapevole, che mina la possibilità di costruire collaborazione e fare accordi. Io vinco, tu perdi. Non c’è un “noi scegliamo e agiamo insieme per la cosa migliore”.

È la forma di potere che muove una persona verso un’altra che crede inferiore a sé e facile da manipolare. Così come è stato nel mio caso. Forse, se fossi stata un uomo e pure grosso, avrebbe agito diversamente. Forse…

È quell’atteggiamento di superiorità e di controllo che si nutre di piccoli successi.

Sì perché tante volte sbuffiamo, ma lasciamo correre. Perché è una cosa piccola. Perché ci piace sentirci persone per bene. Perché vogliamo evitare battibecchi e di non sentirci str*

Per non parlare poi del rischio di passare dalla parte del torto!

Non perché abbiamo torto. Ma perché chi osa protestare, soprattutto se la cosa è considerata piccola, viene spesso giudicato come poco gentile e str*. E così, per evitare di esporci e di mostrarci vulnerabili fuori, preferiamo soffrire dentro, minando un po’ alla volta la nostra autostima.

Qual è questo paradigma di potere?

Il paradigma fondato su Vincere – Perdere non è legato ad un titolo specifico. È esercitato da chi ha bisogno di vincere sull’altro. E quando c’è uno che vince, c’è un altro che perde.

Quando ad esercitare il potere è una persona che ha un titolo per farlo, pensiamo ad esempio ad un dirigente verso un collaboratore, il ruolo gerarchico e l’accordo contrattuale mettono le parti in posizione favorevole per un atteggiamento di potere.

Il potere non è di per sé né buono né cattivo. Nemmeno il paradigma vinco – perdi lo è. Nel mio caso anche io l’ho esercitato. Sono la consapevolezza, l’attenzione e l’intenzione che fanno la differenza.

Capacità di un buon Leader è saper utilizzare il suo titolo di potere tenendo in considerazione le esigenze di tutti muovendosi con saggezza.

Diversamente, il capo padrone, esercita il potere per titolo, non è riconosciuto dai collaboratori che appena possono lo ostacolano e lo boicottano. Perché si muove per interesse e per opportunità solo sue.

Sono molti i padroni in azienda. E non sono solo dirigenti. Sono tutte le persone che non hanno ancora maturato la consapevolezza dei propri comportamenti e che interagiscono con prepotenza e aggressività. Persone che, in coaching, possono scegliere di lavorarci per il benessere proprio e  per quello dell’organizzazione.

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